Passa ai contenuti principali

Il Sicomoro e la fanciulla nel giardino del Faraone



“Vi prego” disse il Sicomoro rivolto ai suoi vicini “Non fate parola di quello che vedete. Tutto deve essere un segreto.”
La sua voce si udì chiara e limpida come l’aria di quel mattino, nel verde giardino della regina Nefertiti sulla sponda del Nilo.
Le bianche vele scivolavano silenziose sull’acqua azzurra del placido fiume, mentre si udiva lontano il richiamo dei gabbiani.
“Cosa ti prende oggi?” chiesero all’unisono il grande fico e un piccolo melograno che crescevano nei dintorni.
"Vedete la ragazza che corre nella valle dei Papiri?" rispose il Sicomoro. “E la figlia del capo giardiniere, va a portare un messaggio per un incontro segreto con il suo amato.
Lei verrà, si incontrerà con il suo amore, e poi insieme si nasconderanno tra i miei rami per essere protetti da occhi indiscreti. Voi non potete capirmi: lei per me è più di una madre, più di una sorella. Quando era ancora bambina, scelse il più bel posto del giardino, mi pose in una buca e, con le sue piccole mani, prese le mie deboli radici e mi piantò affinché crescessi bene e forte. Poi mi parlò con affetto, mi diede da bere e per anni si curò di me come un figlio. Siamo cresciuti insieme e le sue parole per me erano più dolci del nettare.
Lei, la vedrete, è diventata bellissima, è sbocciata come un fiore d'ibisco.
In questi anni anch'io sono cresciuto, sono diventato un grande albero, ho tanti rami e foglie, così posso accogliere e nascondere lei ed il suo amato."
Poi, improvvisamente, si fece un gran silenzio.
Il Faraone era sceso nel giardino con il suo seguito di ancelle. Maestoso, percorreva lentamente i viali odorosi, tra l’ammirazione e il muto omaggio da parte dei grandi alberi che ombreggiavano i lidi.
Quando il piccolo corteo si allontanò: “Non temere”, mormorarono tutte insieme le grandi foglie del Fico, “anche noi amiamo quella fanciulla più di qualsiasi altra cosa, e saremo lieti di servirla e conservarne il segreto”.
“Tu non lo sai, perché ancora non eri nato”, disse il Fico, “ma quando ero ancora un virgulto mi portarono da un giovane innamorato. Dalla Siria ai piedi dell'amata, a dorso di un cammello, traversammo il deserto e ci fu chi tenne fresche le mie radici per farmi vivere per lei.
Lei mi fece piantare nel grande giardino e ci riempì di gioia e quasi di ebbrezza con la sola acqua dell'otre che portava dal Nilo.

“Se non ci fossero servi
Sarei il suo schiavo”

“Ho saputo”, riprese il Sicomoro, anche oggi verranno i servi a portare vino, birra, frutta e ogni genere di pani. ll padiglione al centro del giardino sarà arredato con ogni conforto perché lei possa goderne, non solo oggi ma domani e dopodomani.
So che lui seduto al suo fianco, le verserà da bere e insieme raggiungeranno I'ebbrezza che nessun vino può dare”.
“Anch'io” disse con vice stridula il Melograno, “l'amo, so che i miei chicchi sono splendenti come i suoi denti, i miei frutti grandi come i suoi seni, i miei fiori rossi come le sue labbra. E poi “ aggiunse senza modestia “così come lei è la più bella anch’io sono l’albero più bello del giardino, perché sono sempre verde e in ogni stagione ho fiori rossi e dolcissimi frutti.
State tranquilli, proteggerò con la mia ombra i loro incontri, sarò riservato, non racconterò niente in giro, ma ad una condizione: voglio essere trattato come il primo albero di questo giardino, non voglio essere secondo a nessuno”.
Il Sicomoro e il Fico ammutolirono per la vergogna: la vanità del Melograno non aveva confini.
Poi il Melograno aggiunse minaccioso: “Se non fate quanto dico racconterò tutto e lei sarà punita
Lei non potrà più offrire al suo amato il bastone adorno di fiori bianchi e blu quale pegno d'amore, o i profumi rari degni solo del Faraone”.
Il Sicomoro, dall'alto della sua imponente mole, fu sul punto di redarguirlo, ma poi tacque.
Pensava alla differenze; il suo tronco era forte e levigato come I'albero di besbes, le sue foglie erano come il turchese e anche la scorza era preziosa, la sua ombra era vasta e i rami arrivavano a terra.
Invece il Melograno aveva foglie piccole, un tronco modesto e i piccoli rami; solo i fiori erano notevoli per il loro rosso vivo, ma di ombra non se ne parlava. Il Sicomoro preferì sorvolare sulle assurde pretese del Melograno, per amore della fanciulla, mentì e proclamò con voce chiara e forte:
“Sappiate, voi tutti che ascoltate, alberi e piante del giardino del Re: il Melograno è il primo albero di questo giardino!”
Nessuno fiatò, sull’orgoglio vinse l'amor … e la fanciulla visse tranquilla i suoi tre giorni di felicità.







Libera interpretazione dell’Autore basata su un Papiro egiziano conservato nel museo di Torino risalente al secondo periodo intermedio del Regno Nuovo della diciottesima dinastia (1500/1300 a.C.). Manca il titolo che si trovava evidentemente nella parte lacunosa; pubblicato per la prima volta da Maspero, “Les Chants d’ amour”, è stato tradotto da Edda Bresciani, Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Einaudi, 1990,  p.223.


Commenti

Post popolari in questo blog

IL SATIRO DANZANTE

Nelle austere sale dell'ex convento dei Cappuccini, adattato con gusto a Museo del Satiro a Marsala, una mattina, dopo l'apertura, si udì il canto di una voce giovanile ma vibrante “ viva viva la vita” “viva viva la vite” I visitatori, sempre molto numerosi anche alle prime ore, si guardarono stupiti. Accorsero i guardiani e non videro nulla di anomalo, tutto era in ordine, non si erano resi conto che il Satiro si era svegliato dal suo sonno millenario e voleva esprimere la sua gioia irrefrenabile. “Sappiate” disse ai presenti “che io rappresento la gioia, la vita, io non ho legami né con il cielo né con la terra, io sono libero, non ho neanche vestiti …questo è il segno della mia assoluta libertà. Io canto l'ebbrezza e invito anche voi a unirvi a me e danzare con me, verranno anche le ninfe e danzeremo fino a notte. Sappiate che io non sono un satiro, come dite voi, io non ho orecchie di asino, non ho corna di capra, non ho la coda di cavallo;   i o sono un ...

L'UCCELLINO DELL'ADDAURA

Mi porse una pesante cartucciera e mi disse: "questa la porterai tu".  Era così alto che io, ancora piccolo, gli arrivavo poco sopra il ginocchio. Veniva dell'America e, a conseguenza di un incidente, doveva fare fisioterapia e camminare molto. I Cuccia erano venuti a stare vicino a noi    a Mondello   e il pomeriggio il Signor Beni (Benedetto) mi veniva a prendere per camminare e andavamo alle falde del monte Pellegrino, nella zona che era detta "Addaura", dal nome dell'alloro che cresceva spontaneo lì, ma che non era percorsa neanche dai pastori perchè troppo brulla e ripida. Ogni tanto lui sparava e qualche uccellino e io dovevo correre a raccoglierli ancora caldi e li mettevo dentro la cartucciera. Io ci soffrivo e lui non mi capiva, a volte la cartucciera si riempiva di povere vittime innocenti.  Camminavamo ore intere e ricordo ancora quello splendido paesaggio quando ancora non era arrivata la moda di avere un villino su quella montagna.  Po...

INTERVISTA A LAOCOONTE

“Dimmi cosa successe a Troia quel tragico giorno che tu peristi con i   tuoi due figli, ne hanno   parlato ampiamente Omero e   Virgilio, ma io voglio sentire dalla   tua viva   voce il   racconto di quel tremendo giorno. So che sono passati più di duemiladuecentootto anni, è finita la guerra di    Troia, e poi tante   guerre tra le quali due guerre mondiali. Ma principalmente è finito il politeismo, la tremenda religione per la quale tu sei   morto, per volere di Atena. Ora puoi parlare liberamente.” Ero in   Vaticano davanti il gruppo del Laocoonte, la cui storia riempirebbe libri. Questo monumento coinvolge storia, arte, poesia, politeismo, religione cristiana. Quando fu rinvenuto diventò l’origine dei musei Vaticani, e praticamente di tutti i musei. Plinio racconta che questo gruppo nella versione originaria era in bronzo, poi ne furono fatte delle copie in marmo dai romani, tutte pregevoli   perché il gruppo ha u...