Eravamo da ore in una stazione intermedia tra Roma e Reggio Calabria, quando sentimmo arrivare il treno che andava verso sud. Era il 1943, il mio viaggio di ritorno da Genova a Palermo era complicato anche dal fatto che erano pochissimi i mezzi che andavano verso la Sicilia, in quanto le linee ferroviarie erano quasi tutte distrutte.
Il treno che avevo aspettato tanto era al completo, fin sui tetti dei vagoni, assaltato da gente che voleva spostarsi verso il sud.
Non appena si fermò lo assalimmo come lupi, perché il caldo era tremendo e senza acqua era difficile resistere ancora in attesa del prossimo treno che non si sapeva quando sarebbe passato. Mi arrampicai sul tetto del un vagone che avevo davanti dove trovai posto a fatica e, dopo un pezzo, il treno riprese la sua marcia.
Quella posizione aveva un problema: ad ogni galleria bisognava abbassarsi il più possibile per non restare falciato dal tetto. Ogni volta che arrivava una galleria il primo del vagone lanciava un urlo e bisognava abbassarsi fino all'uscita, rimanendo avvolti dalla coltre di fumo denso e nero.
Le gallerie erano tantissime e questa ginnastica durò tutto il viaggio.
In un momento più tranquillo mi guardai attorno e vidi la figura di una donna agile che si era arrampicata anche lei e che mi stava vicina. La guardai attentamente e mi accorsi che la conoscevo: era Ida, una giovane calabrese che era stata a servizio da noi come cameriera nella casa di via Vincenzo di Marco a Palermo. Era la donna di cui parlo nel post "a Silvia". Mi feci riconoscere e familiarizzammo subito perché la difficoltà e il pericolo che correvamo ci furono di legame. Avemmo un'occasione di intimità come non era mai successo a Palermo ed io mi sentii trasportare verso di lei che era giovane e interessante. Quando arrivò una galleria improvvisamente ci dovemmo abbassare tutti e allora io feci quello che non avevo mai fatto a casa, la abbracciai e la baciai sulla bocca scatenando tutta la passione che avevo accumulato negli anni passati. Anche lei si commosse e mi fu vicina con gioia. Quel tetto del vagone non lo dimenticherò: la fuliggine e il fumo che ci avvolgeva e la sporcizia che ci copriva erano diventati un gioco, perché tutti e due avevamo altro a cui pensare.
Ad una fermata lei scese in quanto era arrivata a casa: ci separammo come se nulla fosse successo. Anche grazie a questo inaspettato incontro quella corsa sul tetto del vagone rimarrà sempre per me memorabile.
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