Da poco tempo avevo comprato in fiera una barca in vetroresina della fabbrica Pirelli aveva la lunghezza di 6,50 metri, un motore entro-fuori bordo da 50 cavalli, due cuccette a poppa, cucina e bagno, due cuccette a prua, ma nemmeno un salvagente. Io ero completamente "digiuno" di mare....consideravo la barca come un'automobile. Una domenica decisi di invitare per una gita due sorelle giovani e carine, le Longo, e un mio amico di nome Antonio D'agostino, di grande esperienza marinara.
Partimmo dal porto di Palermo di buon mattino dal circolo canottieri di cui ero socio, il mare era tranquillo eravamo diretti al porto Cefalù: la comitiva era affiatata. Per metà del tragitto andò tutto bene, quando ero in prossimità di Cefalù si levò un vento di maestrale così teso che riuscimmo a stento ad entrare in porto. Ci fermammo per la colazione: a Cefalù la giornata era stata divertente e così speravamo che si concludesse.
Quando uscimmo dal porto di Cefalù per rientrare a Palermo, ci accorgemmo che il mare ere proibitivo date le dimensioni della mia barca e l'entità delle onde. Fidando dell'esperienza del mio amico decisi di proseguire a qualunque costo, ma le onde minacciavano di travolgerci: una delle sorelle, la più piccola, in preda al panico, cadde svenuta sul fondo della barca e non si mosse più.
Non avevamo altra scelta che proseguire perché tornare indietro avrebbe rappresentato quasi un suicidio per la forza del mare, ma le onde ci travolgevano con tale violenza da avere terrore. Navigammo per qualche ora, sbattuti dal vento come un fuscello in un mare in tempesta che non accennava a diminuire di violenza. Ricordo che in quei momenti, e non ho vergogna a dirlo, ebbi davvero paura: spesso i flutti del mare invadevano la barca che non era in grado assolutamente di fronteggiare quella tempesta.
Finalmente dopo ore di navigazione burrascose vedemmo profilarsi la diga del porto di termini Imerese: se fossimo riusciti ad entrare nel porto, sarebbe stata la nostra salvezza. Faticammo a lungo perché le onde ci spingevano al largo e per un certo periodo io presi il timone per alleggerire il mio compagno di navigazione che era evidentemente stanco. Cercai di non prendere il mare di fianco perchè ci avrebbe capovolti facilmente, mi sforzai di tenere la prua al vento, in tal modo affrontavo le onde di prua. Con fatica e privo di esperienza in mare, riuscii ad entrare nel porto e, finalmente, quando arrivammo sotto la protezione della diga, la ragazza si svegliò dal suo sonno che sembrava perenne, era svenuta e non si era accorta di quello che avevamo passato.
L'avventura vissuta scolpì nella mia mente per sempre un antico detto dei marinai siciliani: al mare io ci dico di Lei.
Partimmo dal porto di Palermo di buon mattino dal circolo canottieri di cui ero socio, il mare era tranquillo eravamo diretti al porto Cefalù: la comitiva era affiatata. Per metà del tragitto andò tutto bene, quando ero in prossimità di Cefalù si levò un vento di maestrale così teso che riuscimmo a stento ad entrare in porto. Ci fermammo per la colazione: a Cefalù la giornata era stata divertente e così speravamo che si concludesse.
Quando uscimmo dal porto di Cefalù per rientrare a Palermo, ci accorgemmo che il mare ere proibitivo date le dimensioni della mia barca e l'entità delle onde. Fidando dell'esperienza del mio amico decisi di proseguire a qualunque costo, ma le onde minacciavano di travolgerci: una delle sorelle, la più piccola, in preda al panico, cadde svenuta sul fondo della barca e non si mosse più.
Non avevamo altra scelta che proseguire perché tornare indietro avrebbe rappresentato quasi un suicidio per la forza del mare, ma le onde ci travolgevano con tale violenza da avere terrore. Navigammo per qualche ora, sbattuti dal vento come un fuscello in un mare in tempesta che non accennava a diminuire di violenza. Ricordo che in quei momenti, e non ho vergogna a dirlo, ebbi davvero paura: spesso i flutti del mare invadevano la barca che non era in grado assolutamente di fronteggiare quella tempesta.
Finalmente dopo ore di navigazione burrascose vedemmo profilarsi la diga del porto di termini Imerese: se fossimo riusciti ad entrare nel porto, sarebbe stata la nostra salvezza. Faticammo a lungo perché le onde ci spingevano al largo e per un certo periodo io presi il timone per alleggerire il mio compagno di navigazione che era evidentemente stanco. Cercai di non prendere il mare di fianco perchè ci avrebbe capovolti facilmente, mi sforzai di tenere la prua al vento, in tal modo affrontavo le onde di prua. Con fatica e privo di esperienza in mare, riuscii ad entrare nel porto e, finalmente, quando arrivammo sotto la protezione della diga, la ragazza si svegliò dal suo sonno che sembrava perenne, era svenuta e non si era accorta di quello che avevamo passato.
L'avventura vissuta scolpì nella mia mente per sempre un antico detto dei marinai siciliani: al mare io ci dico di Lei.
Commenti
Posta un commento