La tavola del surf scivolava sul mare come sui binari. Il mare era perfettamente calmo e una brezza di maestrale lo increspava leggermente, in lontananza si vedeva la schiuma delle onde che cominciavano ad emergere.
Io avevo il vento tra le mani, il boma mi trasmetteva vibrazioni come di un corpo vivente.
Diventai un tutt'uno con il vento mi sembrava di essere il mare e l'aria che lo copriva, io vivevo una realtà insondabile e un'emozione senza pari. Quella mattina ero sceso a mare presto perché, per esperienza, sapevo che quando spuntano le "palombelle", ovvero le onde, all'orizzonte è facile che a mezzogiorno ci sia mare grosso, il tempo e il mare hanno i "loro tempi".
Era l'anniversario del mio compleanno, compivo gli ottanta anni e volevo festeggiarli sulle onde. Puntai sul mare aperto volevo conquistare l'orizzonte, la tavola a vela mi portava dove volevo io, senza rumori, senza remi, senza fatica. Vidi allontanarsi la costa, vidi scomparire le case e con lo sguardo abbracciai un pezzo di Sicilia compreso tra i capi Mongerbino e Zafferano.
Lo spettacolo era creato da una scenografia superba e io non avrei voluto mai più tornare, l'azzurro del mare e la sua trasparenza mi facevano vedere tutti i pesci che vi nuotavano, vidi anche un paio di delfini che mi giravano attorno e ne fui felice: mi sentivo in sintonia con la natura con il paesaggio il mare e il cielo e questo mi faceva pensare, come aveva scritto il poeta, " ...il naufragar m'è dolce il questo mar".
Mio nipote Franco, alcuni anni prima, di preciso nel 1990 (io avevo 70 anni!), aveva lasciato ad Aspra il suo wind surf, aveva preferito sfrecciare con motoscafi velocissimi ed scorrazzare con quel rumore assordante. Io mi trovai quell'ingombrante oggetto tra le mani, non sapevo come si usava e non avevo nessuno che mi spiegava cosa dovevo fare. A poco a poco ci provai: misi a mare l'attrezzatura e mi lanciai tra le onde.
Innumerevoli cadute a mare mi distrussero fisicamente, ma poi la testardaggine e la mia mente vinsero: a poco a poco acquistai l'equilibrio necessario sulle gambe, era come imparare a camminare e ci riuscii e quando riuscii ad allontanarmi e presi il vento nelle mani, mi sentii padrone del mare del cielo e delle onde.
Il surf era come una scalata di una parete: solo, senza applausi, senza spettatori... una gioia interiore non descrivibile a parole e io provai tante volte questa sensazione di "possedere l'universo".
Quando, stanco di cercare l'orizzonte inarrivabile, decidevo di tornare a riva, dopo alcune ore il paesaggio era spesso completamente cambiato, alle "palombelle" erano subentrati i "cavalloni" e io dovevo impegnare tutta la mia forza per controllare il vento che mi costringeva a fare dei bordi lunghi per ritornare a casa.
L'esperienza del wind surf, a mio parere, è confrontabile solo con l'ebrezza della velocità che restituisce l'esperienza dello sci sulla neve, perché anch'esso si fa da soli e in silenzio, per una gioia tutta mentale e dello spirito.
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