Michele, un'operaio di mia conoscenza, mi venne a prendere in macchina alle sei di mattina per accompagnarmi a FAVIGNANA. Aveva ricevuto notizie che un gran numero di tonni si avviava verso la camera della morte e voleva farmi assistere a quello spettacolo unico al mondo. Quando arrivammo a FAVIGNANA un amico con barca ci traghetto' dal porto fino alla tonnara.
Arrivammo che ancora i tonni non erano entrati e vidi centinaia di pescatori in attesa dell'evento. In mezzo alla "camera", costituita da reti fissate ai quattro lati, c'era una barca con a bordo il rais, ovvero colui che,come un direttore d'orchestra, avrebbe diretto tutti quelli che erano piazzati ai bordi di un quadrato grande con reti predisposte fino al fondo del mare. Dopo qualche ora si sentì un grido: il primo tonno si era infilato nella camera della morte seguito da tanti bestioni che avevano paura.
In quel momento tutti i pescatori si mossero e predisposero gli uncini da infilzare sui tonni che si avvicinavano ai bordi. Il silenzio venne rotto da un canto antico e sicuramente arabo che intonavano i pescatori "Aia amola...". In breve si vide la camera della morte invasa da tonni, alcuni di notevole dimensione che, imprigionati nella reti davano tremendi colpi di coda uccidendo quello che era loro vicino.
Lo spettacolo era grandioso: centinaia di pescatori affollavano i bordi del grande quadrato che formava la camera della morte, alcuni erano addetti a tirare la rete per stringere lo spazio dove si muovevano i tonni altri con lunghi uncini di ferro agganciavano un tonno per volta e lo tiravano dentro le barche. Il rais con la sua barchina al centro di quell'inferno che era diventato rosso di sangue, dirigeva la manovra di sollevamento della rete dal fondo per ridurre lo spazio dove i tonni si dibattevano come furie, perché non avevano più agio di muoversi.
Confesso che la scena, i pescatori, i loro canti e gli spruzzi d'acqua determinati dai colpi di coda di quegli enormi bestioni era emozionante e carica di una drammaticità notevole. Per i pescatori abituati a quelle scene tutto sembrava normale, ma io a tutto quel sangue di esseri viventi che cercavano di sopravvivere furiosamente, provai una sofferenza e quasi avrei preferito non assistere a tanto strazio. La vita di quelle creature era un miracolo della natura e noi, per nostro egoismo, spargevamo morte a creature argentee tanto belle e piene di vita. Le barche ai bordi della camera della morte si riempirono di grandi creature morenti e vibranti ancora degli ultimi battiti di vita: non so quella volta quanti furono i tonni uccisi, ma certo almeno un centinaio e questo rito si sarebbe ripetuto molti giorni di seguito fino a quando i tonni avrebbero percorso quella rotta fissata da recondite ragioni.
Questo evento accadeva da centinaia di anni.
Tornando a Palermo tutto il tempo ripensai a quella scena crudele che non ha eguali al mondo e ne soffrii profondamente.
Arrivammo che ancora i tonni non erano entrati e vidi centinaia di pescatori in attesa dell'evento. In mezzo alla "camera", costituita da reti fissate ai quattro lati, c'era una barca con a bordo il rais, ovvero colui che,come un direttore d'orchestra, avrebbe diretto tutti quelli che erano piazzati ai bordi di un quadrato grande con reti predisposte fino al fondo del mare. Dopo qualche ora si sentì un grido: il primo tonno si era infilato nella camera della morte seguito da tanti bestioni che avevano paura.
In quel momento tutti i pescatori si mossero e predisposero gli uncini da infilzare sui tonni che si avvicinavano ai bordi. Il silenzio venne rotto da un canto antico e sicuramente arabo che intonavano i pescatori "Aia amola...". In breve si vide la camera della morte invasa da tonni, alcuni di notevole dimensione che, imprigionati nella reti davano tremendi colpi di coda uccidendo quello che era loro vicino.
Lo spettacolo era grandioso: centinaia di pescatori affollavano i bordi del grande quadrato che formava la camera della morte, alcuni erano addetti a tirare la rete per stringere lo spazio dove si muovevano i tonni altri con lunghi uncini di ferro agganciavano un tonno per volta e lo tiravano dentro le barche. Il rais con la sua barchina al centro di quell'inferno che era diventato rosso di sangue, dirigeva la manovra di sollevamento della rete dal fondo per ridurre lo spazio dove i tonni si dibattevano come furie, perché non avevano più agio di muoversi.
Confesso che la scena, i pescatori, i loro canti e gli spruzzi d'acqua determinati dai colpi di coda di quegli enormi bestioni era emozionante e carica di una drammaticità notevole. Per i pescatori abituati a quelle scene tutto sembrava normale, ma io a tutto quel sangue di esseri viventi che cercavano di sopravvivere furiosamente, provai una sofferenza e quasi avrei preferito non assistere a tanto strazio. La vita di quelle creature era un miracolo della natura e noi, per nostro egoismo, spargevamo morte a creature argentee tanto belle e piene di vita. Le barche ai bordi della camera della morte si riempirono di grandi creature morenti e vibranti ancora degli ultimi battiti di vita: non so quella volta quanti furono i tonni uccisi, ma certo almeno un centinaio e questo rito si sarebbe ripetuto molti giorni di seguito fino a quando i tonni avrebbero percorso quella rotta fissata da recondite ragioni.
Questo evento accadeva da centinaia di anni.
Tornando a Palermo tutto il tempo ripensai a quella scena crudele che non ha eguali al mondo e ne soffrii profondamente.
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