Dopo anni in cui l'esercito tedesco aveva avanzato vittorioso in quasi tutta l'Europa, vederli fuggire di fronte a un nemico che avanzava facendo tabula rasa di quello che aveva davanti, era sconvolgente.
A un certo punto le colonne dei mezzi corazzati finirono e io rimasi solo al centro della strada della via Aurelia. Il silenzio era preoccupante perché non capivo cosa stesse succedendo, in quei momenti il fronte della cosiddetta linea gotica, creato dai tedeschi per fermare l'avanzata alleata, mi stava superando. Io mi trovavo tra i due eserciti nel punto di passaggio in cui uno si ritirava e l'altro ancora non era arrivato.
In questo silenzio vidi sbucare una pattuglia tedesca: erano due soldati che mi spianarono le armi e mi ordinarono di alzare le braccia. Vidi che entrambi portavano sul petto un grande medaglione con scritto "gendarmeria tedesca" e da li capii che erano in perlustrazione dopo che le truppe si erano ritirate. Mi fecero segnale di mostrare i documenti. Io allora mi ricordai che un anno prima avevo chiesto al generale Crocco, preside della scuola di Ingegneria a Roma in San Pietro in Vincoli, un documento che mi autorizzava a ritornare in Sicilia. Lo trovai ancora nel portafogli e lo mostrai ai gendarmi tedeschi che mi avevano in loro potere, potevano fucilarmi, ero uno sbandato con un foglio di carta in mano, che i tedeschi sicuramente non capirono ma videro timbri e firme e questo dovette essere sufficiente perché non costituiva un pericolo per l'esercito tedesco in fuga. I due gendarmi confabularono un poco tra loro, poi mi fecero segno di raccogliere tutte le cose che avevo uscite dallo zaino, compresa la compassiera da cui non avevo mai voluto separarmi e che era avvolta in un giornale. Questa compassiera, a ripensarci, fu misteriosa perché nessuno volle guardare mai dentro cosa conteneva.
Quando rimisi tutto nello zaino i gendarmi mi fecero segno di proseguire il mio cammino, ripresi la strada verso sud come avevo fatto nei giorni passati. Avevo appena fatto pochi passi che sentii alle mie spalle una scarica alle di mitra e i proiettili passarmi vicino senza colpirmi. Non capii al momento cose volesse significare: se un atto intimidatorio o una prova per verificare il mio coraggio e il mio autocontrollo: a quella scarica io abbassai la testa e continuai con lo stesso passo di prima, come se non fosse successo niente. Capii che volevano farmi paura ma io mi controllai, non fuggii, e continuai con lo stesso passo e la stessa direzione, come prima, aspettando la seconda scarica. Ancora oggi ricordo quei momenti, in quel conflitto tremendo avrei potuto essere ucciso e finire la mia vita ai bordi della strada: se avessi cominciato a scappare sarei stato il loro gioco di tiro al bersaglio. Per i tedeschi io ero una cosa trascurabile, e per l'esercito alleato che arrivava, sarei stato un cadavere da levare di mezzo. In quel silenzio che si fece dopo io riflettei a lungo: mi sembrava come se avessi scalato di nuovo il "Campanile Basso del Brenta": avevo raggiunto la cima e oltre non potevo andare. Continuai a camminare e capii allora che si erano presi gioco di me e l'unico modo per superare quella situazione era fare finta di niente. Quel giorno proseguii la mia marcia convinto che avevo superato una Roma difficile perché avevo dovuto tenere saldi i nervi e autocontrollarmi. Forse fu la prova più ardua della mia vita e sono ancora oggi contento di averla superata.
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